lunedì 4 febbraio 2019

Il primo e ultimo re




Dopo la visione del film di Matteo Rovere e dell’interessante ricostruzione storica dell’epoca  più che della mitica vicenda, penso che ci si possa atteggiare come dopo un film d’azione molto violento oppure come davanti ad un suggerimento o una metafora. Ovviamente scelgo la seconda ed è una possibilità che non mi aspettavo. I protagonisti e le comparse vivono in un ambiente estremamente ostile dominato dalle forze della natura, dalla violenza del più forte e dalla religione. Ovviamente le tre condizioni si riducono subito a due perché le forze della natura vengono lette come manifestazioni del divino. I due fratelli incarnano allora le due visioni della sopravvivenza e dello sviluppo: Remo punta a fondare una civiltà basata sulla forza e la paura, Romolo è devoto e sottomesso agli dei. La storia, non solo il film, ci insegna che Roma sarà entrambe le cose: una potenza militare che si espande senza pietà e una protettrice delle divinità, nel numero più ampio possibile e valorizzate in base al beneficio che apparentemente porteranno all’impero. Il cristianesimo è stato osteggiato anche perché pretendeva il suo dio come unico e non come un dio tra i molti. La vita ai tempi dei gemelli fondatori era molto dura ma a parte le comodità moderne mi pervade la sensazione che ancora oggi siamo dominati da religione e paura. Se tralasciamo quando coincidono, la paura domina nei regimi autoritari e militari, la religione in quelli democratici. Nelle nazioni democratiche si delega ad una ritualità e ad una sacralità l’organizzazione della società, ci sono i riti come le elezioni, i sacerdoti come i burocrati, le vestali come i politici e vari guardiani dell’ordine. Una prima evidente differenza è che le vestali alimentavano il fuoco a prezzo delle loro vite, i nostri politici non danno questo forte valore al simbolo del divino, ovvero il voto nel nostro caso. Ma la democrazia, come la religione, può essere messa da parte se c’è la necessità di agire con forza e scatenare una guerra. L’altra spaventosa similitudine è la divisione in tribù, siano esse su base etnica o politica. Mi chiedo quanto questo bisogno di appartenere ad un gruppo ben definito sia un retaggio culturale o umanamente biologico. Mi chiedo quanto questo gruppo si possa allargare partendo dal clan familiare ad un intero continente se non a tutto il  globo. Eppure anche nelle città più multiculturali la formazioni di enclavi, di ghetti, di aree “specializzate” è sempre presente. La prima osservazione è che esse sono legate alle condizioni sociali ed economiche, ovvero stiamo sempre parlando di poveri o poco più, però spesso sono condizioni migliori delle equivalenti nei paesi di origine storica. Oppure è più desiderabile vivere da individui ricchi tra ricchi oppure in un gruppo di poveri ma molto simili? Oppure la ricchezza costituisce tribù a sé?
Quindi siano Plutarco, Sofocle o Shakespeare possiamo sempre leggere parte del nostro presente nelle storia del passato, come se tutto il progresso che passa dal fuoco di scintille all’energia atomica, l’uomo sia scivolato nel tempo portando incolumi le sue strutture mentali. Lo sviluppo del cervello e della cultura ha prodotto tonnellate di carte piene di buoni propositi che vanno però applicate allo stesso uomo che sacrificava la vita di altri uomini alle divinità, possibilmente non della propria tribù.



Foto: Celti 4/6 - elaborata

venerdì 28 dicembre 2018

Universo


Tra il grande e il piccolo la differenza così come l’assegnazione sono relative. Sono i loro superlativi che fanno chiudere un ipotetico e semplificatorio cerchio in cui il grande e il piccolo si sovrappongono. Il nostro cervello nella sua necessità di controllare ciò che ci circonda per difenderci dai pericoli modella le immagini in modo famigliare, ma poi esistono strane coincidenze. Che il modello atomico basato su un nucleo e delle particelle che girino attorno sia un sistema solare in miniatura è una delle rappresentazioni più affascinanti della terra. C’è bastato poco per superarla e la similitudine Cosmo - atomo si è schiantata contro il muro della fisica quantistica. Le particelle atomiche sono piccolissime e noi siamo piccolissimi soltanto guardando la nostra galassia. Siamo maledettamente piccoli, persi e fragili; aggrappati ad una  zolla lanciata ad una velocità pazzesca nel vuoto. Ci dobbiamo guardare  piedi per non avere paura. Non so se ha ragione Gurdjieff e la nostra mutilazione del “kundabuffer” ci obbliga a vivere in questo stato di inquietudine, oppure occorre pensare ad Adams e al suo “vortice di prospettiva totale”, immaginarcelo dentro noi pronto a ricordarci la nostra dimensione infinitesimale e precaria. Così guardando il piccolo ci accorgiamo che la nostra quotidianità non è che una rappresentazione di un mondo invisibile le cui leggi non sono nemmeno rappresentabili mentalmente e non hanno nulla a che vedere con la nostra esperienza. Il grande invece ci schiaccia e ci parla di quotidianità eterne rispetto alla nostra e forse di altri modi di vivere lontani e paralleli a noi. Ci servirebbe un dio che ogni tanto venga a tranquillizzarci e incoraggiarci della nostra minuscola presenza nel suo colossale marchingegno. Non ci serve di certo un dio distaccato che guarda la nostra pallina rotolare sapendo già dove cadrà e non considerando i piccoli cuori palpitanti che l’abitano. In fondo, anche le cavie di laboratorio ogni tanto vengono accarezzate.



Foto: A travel - Carlos Silva - Agoo  - 1965 (detail) Malba - Buenos Aires

giovedì 27 dicembre 2018

Il deserto


Il deserto io lo conosco bene: ci ho abitato. Non importa dove vivo o dove ho vissuto, il deserto me lo portavo dietro. Non pensare al deserto delle emozioni, delle relazioni o dei valori morali, geograficamente era più simile al deserto sabbioso del cinema. Il deserto prima di tutto è un spazio ampio, senza confine se non l’orizzonte. E’ quindi un posto da cui non si può facilmente uscire, non ci sono strade o sentieri, forse ci puoi trovare delle  direzioni, ma imprecise. Sul deserto il sole compie un arco e ciò complica ancora di più l’orientamento. Il paesaggio è costante anche quando è mobile, o meglio, se si muove si riconfigura in un modo comunque già visto, o che ti sembra tale. Puoi stare sulla sabbia, sulla roccia, sull’erba gialla, sull’acqua, sempre deserto è. Nel deserto non dovresti incontrare nessuno di vivo, tranne animali pericolosi, umani compresi. E’ chiaro che è un posto da evitare ma come tutti i posti pericolosi ci attira potentemente; la nostra mente ha bisogno di una pagina bianca per disegnare, senza appigli che semplifichino il finale del percorso. In questi spazi aperti possiamo immaginare tutto ma cercheremo sempre un riparo, un persona assente, un tesoro o una città perduta. Il deserto è come quello stato intermedio della pelle che dopo una bruciatura tende a guarire, ma lascia sempre un alone del segno della ferita, una pelle differente di tipo diversa da quella che la circonda. Il mio deserto era particolare: tutto bianco, come se fosse di marmo, ma non freddo quasi tiepido. Era molto silenzioso, ma non c’erano echi o la pressione del vuoto sui timpani; come se qualcuno si fosse dimenticato di accendere l’audio durante la proiezione di un film. Era piano e liscio, ma attraversarlo era faticoso come andare in salita, come camminare con l’acqua sopra al ginocchio. Era molto personale, tanto da non riuscire a mostrarlo a quelli vicino a me, ancora oggi mi è difficile descriverlo. Non ci vivo più da un po’ ma me lo porto dietro; non vorrei mai usarlo come rifugio ma sento che all’improvviso potrebbe risucchiarmi. Allora lo scrivo qui così saprai dove trovarmi.


Foto: Sittin' on the dock on the bay Aprile 2017

venerdì 21 dicembre 2018

L'uomo con le ossa di vetro


C’è un posto dove abita un uomo con le ossa di vetro e si può ben capire che tipo di vita faccia. Ogni piccolo incidente, ogni istantanea sfortuna, può essere per lui la rovina. Qualcuno dice che sia un fuoriuscito da un film di JP. Jeunet ma ciò non è importante.
Eppure quest’uomo vive una vita normale: esce di casa la mattina e usa i mezzi pubblici, lavora a contatto di altre persone, esce con gli amici, va alle feste. Ovviamente presta molta attenzione a chi gli sta intorno, ai distratti, a chi parla sbracciando, ai marciapiedi dissestati, agli spigoli dei tavoli e dei comodini, alle porte automatiche, alle inaugurazioni dei centri commerciali. Negli anni si è procurato molte fratture, ma che tutto sommato si rimarginano velocemente, alcune però gli fanno ancora male e spesso scricchiolano rievocando l’incidente che le ha generate.
Nei momenti di silenzio, oltre al suo respiro, se gli state molto vicino potete sentire un rumore di cucchiaini che toccano leggermente un bicchiere di cristallo: sono i ricordi dolorosi delle sue fratture.
A volte senza urti, senza incidenti, senza apparentemente motivo qualche cosa si rompe dentro di lui e l’uomo risuona come un disco di Mike Oldfield ed una vampata di dolore lo invade. Quindi gli capita  nel mezzo di un gesto normale di fermarsi congelato quasi fulminato. La vampata dopo qualche minuto, a volte qualche mezz’ora, passa ma lascia in lui la rinnovata consapevolezza della sua fragilità, anch’essa molto dolorosa.
Per una sorte bizzarra la gioia non emette rumore, ma sono certo che sotto la pelle le sue ossa si illuminano di luce bianca, come un lampo al fosforo in un film in bianco e nero.
Sono tanti i suoi momenti di gioia  ed è per questo che l’uomo dalle ossa di vetro non rinuncia al dolore, sa benissimo che ciò che per gli altri è un piccolo fastidio per lui può essere un grande dolore , ma ciò che per gli altri è un piccola gioia per lui è un orgasmo di luce. 



Foto: Christmas Nest, PB 2018

giovedì 22 novembre 2018

Il posto degli indovini


Non esiste un equilibrio tra legge e dovere. La legge, sia essa frutto di un profondo ragionamento, di un processo storico o di un capriccio dispotico è per sua natura ineccepibile. E’ solidamente statica nel suo dispositivo grammaticale e agisce, nei modi e nei tempi che descrive,  quando le condizioni che esse stessa prevedono la fanno innescare. Ci sono le attenuanti ma sono descritte per legge e non possono invertirne il senso. C’è il dovere che agisce secondo una legge morale, o etica, collettiva o individuale. Al dovere e alla legge si può disobbedire grazie al consiglio dei saggi o degli indovini, dipende dalle epoche e dalle letterature. Antigone non poteva obbedire alla legge e lasciar marcire il cadavere del fratello sotto le beccate degli uccelli. Il disposto di Creonte secondo cui il corpo del traditore non dovesse aver sepoltura, per lei decadeva di fronte ad un comando che arrivava dal passato, dagli avi, da un non codificato messaggio insito nei valori familiari. 
Creonte non si mosse a pietà e volle mantenere salda la sua legge per non sembrare debole di fronte al popolo e non far vacillare l’autorità: se la legge viene manipolata a piacere il legislatore non è più credibile, perché non è più il punitore; nella punizione sta il senso della legge. L’oracolo lo convinse a cambiare idea perché la sventura del suo atto era evidente nelle sue arti. Antigone forte della sua missione morale non accetta l’eterna prigionia e si uccide, accecata dall’idea della inevitabilità della morte per aver violato la legge degli uomini (benché abbia rispettato quella degli dei). Antigone non ha oracoli che la consiglino ma ha la storia e il mito di Danae che condanna dal padre (su previsione di un oracolo) alla prigionia in una torre per non avere figli viene fecondata da Zeus. Se avesse atteso sarebbe stata salvata dal pentimento di Creonte e forse dall’azione del figlio del re, Emone.
Creone ricorre all’oracolo per sentirsi dire ciò che nella sua coscienza già sa e che può leggere negli occhi dei tebani, nonché ascoltare nei consigli di chi gli è vicino.
Edipo ricorre all’oracolo di Delfi per trovare il modo per liberare la città dalla sofferenza e ricorre all’oracolo Tiresia cieco per scoprire la verità sull’assassinio del re precedente. Tutta la storia di Edipo è legata agli oracoli. Suo padre lo fece abbandonare perché l’oracolo aveva previsto che sarebbe morto per mano del figlio, quando Edipo scopre la morte di chi pensava fosse suo padre , crede di aver sconfitto la previsione. Ma il suo vero padre era già stato ucciso da lui anni prima. L’oracolo gettò sulle spalle di Edipo un vaticinio appiccicoso, ma se Edipo avesse potuto conoscerlo prima dell’incidente col padre avrebbe potuto evitarlo? Di fatto si esiliò per evitare di uccidere chi pensava fosse suo padre ma non rinunciò a portare con sé la violenza con cui ha ucciso il suo vero padre. Edipo cieco diventa un oracolo e fa previsioni sui figli maschi, sul re di Colono, ma non sulle figlie. Sarà il figlio a chiedere alla sorella una degna sepoltura in caso di sua morte, perché le legge era chiara. Edipo si acceca per non dover più guardare il mondo e i suoi famigliari nemmeno nell’Ade, si obbliga a guardare dentro di sé e così diventa un indovino. Il nostro destino se è scritto è scritto dentro di noi, non nel genoma, ma nella storia delle nostre azioni che solo noi conosciamo, nel fondo del buio che fa tanta paura.



Foto: Stones, Agosto 2018

martedì 13 novembre 2018

Le “meraviglie” del 2000


Emilio Salgari scrisse “Le meraviglie del duemila” nel 1907 immaginandosi due uomini americani che grazie ad un antico liquido si siano addormentati per 100 anni risvegliandosi nel secolo successivo. Questo romanzo è considerato un precursore della fantascienza italiana, ma si sà che la fantascienza scienza non è , anzi spesso è usata per parlare più del presente che  del futuro. Certo è affascinante cercare ciò che Salgari ha indovinato o previsto e fa tenerezza una certa fiducia nel progresso tecnologico fatto di elettricità, acciaio e gigantismo. Se dovessi indovinare da questo libro cosa pensasse Salgari del suo tempo però ne avrei quasi ribrezzo. La società ideale dell’autore è molto  più vicina ad un incubo che a un desiderio utopico. Sembra che il destino dell’umanità sia “vivere e lavorare in tranquillità” poiché grazie all'elettricità non solo la locomozione e la produzione in generale sono facilitate, ma anche gli uomini si muovono più velocemente per via degli ambienti elettrizzati. Il pianeta ormai è iperpopolato (meno dell’attuale) e ogni foresta è stata eliminata per coltivare la terra; il legno del resto non serve più, come ogni combustibile fossile, a parte il radium: fonte di luce e di calore infinite. La popolazione dominante è quella europea-americana che ha dominato il mondo , mentre eschimesi e nativi americani sono quasi scomparsi a causa della loro non accettazione del progresso. I cinesi hanno rischiato di scomparire per fame e li abbiamo salvati per un pelo. Nel romanzo c’è un solo negro e ovviamente è un servo. Ci sono i ricchi e i poveri, perché come sottolinea l’autore, così è sempre stato. Solo che i ricchi mangiano a tavola con piatti serviti automaticamente dai ristoranti, mentre i poveri (quelli che devono sbrigarsi a mangiare per andare a lavorare) inghiottono pastiglie tipo astronauti. 
La bella  notizia è che Marte è popolato e che i “martiani” possono comunicare con noi, la brutta è che sono molto “brutti”, o buffi secondo i punti di vista. I governi hanno abolito la guerra per non distruggersi (siamo nel 1907) e agiscono come coordinatori del progresso, assicurando i carcerati in prigioni sottomarine e gli anarchici al Polo Nord, in modo che si raffreddino gli animi.
Dei socialisti si fa cenno alla loro estinzione per inutilità o per noia, poiché la Russia è una repubblica e la Siberia uno stato a parte. L’Europa ha perso i grandi imperi ed è nata la Polonia. Su tutti vige il tribunale dell’Aia. L’Italia ha riconquistato Istria, Dalmazia, Nizza e Corsica. 
Che cosa resta della società futura di Salgari,a parte gli esili e le stragi di ribelli ? Una società dedicata al lavoro e che non ha possibilità di progresso ulteriore se non colonizzando lo spazio. Il nostro Emilio non parla di arte, di letteratura, di musica, come se fossero ornamenti di una civiltà preistorica. Non parla di religione né di spiritualità. Ci confeziona città di grattacieli e macchine volanti , atmosfere elettriche e una morale rigida di lavoro e accettazione del presente. Si fa venire un dubbio solo nelle ultime due righe: una società così forse è solo destinata ad impazzire? 
Quanto avrei voglia di vedere questo mondo tra cento anni, ma temo che sarebbe cambiato poco da oggi. Certo nuove scoperte sconvolgerebbero la mia concezione del quotidiano ma che fine avranno fatto i sette miliardi di abitanti? Nessuna nuova guerra planetaria?  Lo spazio sarebbe a portata di mano? I genitori registrerebbero i figli su Facebook alla nascita? E i loro nomi inizieranno per “#”? Non è possibile, il nostro è un piccolo presente per essere base di un futuro a lungo termine. Se è vero meglio così: si può ancora fare qualche cosa! Al limite ci si vede al Polo Nord.


Foto: Quadrisfera -  Museo Casa Cervi - Gattatico (RE)

sabato 27 ottobre 2018

Il tempo sospeso prima del bacio



I visi degli amanti si fronteggiano scambiandosi di messaggi inviati con la sola forza della telepatia e di qualche micro muscolo che contribuisce a impercettibili alterazioni dello sguardo.
Pochissima aria passa nello spazio tra le punte dei due nasi e una tale vicinanza porterà sicuramente ad un bacio. Ma il bacio non arriva, si rimane nel tempo sospeso che anticipa il bacio. Schioccherà sicuramente, all’improvviso, perchè non potrà più essere trattenuto; mentre le labbra dall’altra parte saranno pronte ad accoglierlo in un millesimo di secondo. Ma intanto il bacio non c’è, c’è invece un’attesa non ansiosa, c’è quel flusso di messaggi che riempie lo spazio. Le pupille oscillano da destra a sinistra per mettere a fuoco gli occhi amati, uno per volta, ma subito è necessario passare all’altro. Il sorriso è profondo, incarnato nella faccia, le labbra cambiano assetto frequentemente, confuse tra il sorridere e il dover baciare. E’ un tempo senza ritmo, una sospensione del tutto, anche delle regole e dei ruoli. Non importa chi farà partire il bacio, non importa quando. L’attesa non è data né dall’orgoglio né dalla timidezza, ma dalle tante cose che riempiono quello spazio e che viaggiano sul flusso dello sguardo e del pensiero. Ma ecco! Il bacio!







Foto : Maria Martins - O impossivel - 1945