giovedì 30 dicembre 2010

Dentro la ciambella


L’anno che si chiude avrebbe dovuto essere l’anno dell’uscita da tante cose. Invece non è stato così, non sono uscito proprio da un bel niente. Uscendo avrei abbandonato alcuni pesi vicino alla porta, e più leggero avrei cercato di vagare esplorando, cercando cose nuove. Ho fatto un giro breve e poi ho ripreso, uno per uno, i miei pesi. Alcuni rinnovati, altri addolciti, ma sempre loro. Nel mio vagare ho incontrato cose nuove e le ho raccolte, molte sono cose belle, però richiedono tempo e attenzione. Dovrei concentrarmi su una cosa sola, ma non ci riesco, come se avessi una fame insaziabile che “si prende tutto, anche il caffè”. Temo che dovrò rifare tutto da capo. In fondo ciò che cercavo di ottenere era sviluppare il punto più lontano del mio carattere: la serenità, ma non ci sono riuscito. Volevo essere un tranquillo laghetto alpino, ma sono un pozzanghera sferzata dal traffico. Ma in fondo non è vero, la verità è che vorrei l’energia per poter fare tutto, di poter ficcare il naso in ogni angolo e da ogni angolo estrarre qualche cosa da esplorare ancora. Ma la mia energia è troppo poca anche per darmi il tempo di srotolare i sogni su carta. Porto nel nuovo anno delle nuove gioie e delle nuove amarezze, porto conferme e punti d’appoggio precari. Per mia volontà oppure per destino, l’anno prossimo sarà un anno di svolta, un anno di passaggio al successivo che sarà molto diverso da quelli vissuti finora. Dovrò ricordarmi di andare a rieleggere queste parole, se non altro per ridere di me, almeno per contare i giri in questo moto circolare. Facciamoci gli auguri.



foto: fuori da qui, Milano 28 dicembre 2010

martedì 28 dicembre 2010

La guerra è finita


E’ stato un lampo di vertigine sulla grafica. Un segno, forse magico, che ha aperto un crepaccio nella mattina fredda. Era una stellina disegnata con un pennarello sulla parete del vagone. Vibrava, a causa delle scosse, come se danzasse sopra la sua “i”. Sopra la scritta “I give up! goodbye”, “io mi arrendo! Addio”. Ho immaginato una piccola adolescente seduta storta con il ginocchio sul sedile a tracciarla. Ho visto chiaramente la scia dei sui jeans ficcati negli stivali, un pezzo di culo sporgere dalla cintura e dal piumino lucido. Ho pensato alla canzone dei Baustelle, a quella “bic profumata / Da attrice bruciata”. Giuro che sono inorridito. Giuro che mi sono ricordato di me, di allora, quando un nulla mi faceva tracciare scritte ben più tremende, sgorganti come vene aperte dal mio egocentrismo. Erano dei nulla, perché di quei nulla ne sono seguiti una serie, ma allora non potevo saperlo. Solo dopo aver messo in fila le delusioni ho capito che erano la normalità. Piccola mia, non ti arrenderai, quelle tragedie di oggi sono le inezie di domani che si fanno minuscole per fare spazio a nuove tragedie. Non ho più i miei scritti, li ho buttati tutti, però alcuni temi potrebbero essere di personale attualità. Chiedo scusa per tutta questa negatività ma non ho ruolo per fare paternali, però voglio rimediare: tu non ci crederai ma , nel buio di questi giorni, oggi sono andato a casa contento per aver fatto una foto.



Foto: 28 dicembre 2010, MM3

sabato 18 dicembre 2010

Mattina gelata d’inverno


Oggi io e la neve abbiamo fatto pace. Me lo aveva proposto lei ieri pomeriggio scendendo lenta, ma spostandosi di lato per non intralciare il traffico. Mi disse “resto e domani ci sarà il sole”, così è stato. Sapevo dentro di me, anche se ho sbirciato le previsioni meteo, che avrebbe mantenuto l’impegno e questa mattina mi ha chiamato. Ha lasciato al Sole il suo posto più alto e al vento freddo tutto lo spazio intorno, lei si è distesa pigra sulla terra che era rimasta morbida e si è lasciata percorrere, come farei su una pelle, voltandomi ogni tanto indietro per guardare i segni che lascio. Le impronte nella neve sono piccoli giochi con il passato, appunti scritti sul tovagliolino di un bar perché qualcuno, forse, li ritrovi. Ridevo solo nel freddo, e la neve sorrideva, abbiamo anche parlato di progetti assieme, di idee, di altri giochi. Non so quando succederà ancora che ci esalteremo sincroni nei nostri capricci.


Foto: Oasi del Carengione, 18 dicembre 2010

lunedì 6 dicembre 2010

Verba manent, manent, manent e manent


Leggo una frase, se vuoi banale, in un libro e penso “ecco ciò che dovrei fare!”. E’ un insegnamento semplice, che già conoscevo, era un modo di vivere che già mi ero proposto di seguire, ma perché ora che l’ho letto diventa un consiglio da seguire? Perché prima non lo era, benché ci fossi arrivato solo? Siamo succubi dell’insegnamento o della parola scritta? Forse per questo uno dei libri più venduti al mondo insegna a smettere di fumare oltre al normale buonsenso; però mi torna in mente un insegnamento Zen dove un uomo saggio va da un maestra e chiede “Quale via devo seguire?”, il maestro ripose “sii buono e giusto!”. Il saggio rimase stupito ed esclamò “Ma questo lo sa anche un bambino!”, il maestro replicò “Sì, lo sanno tutti, ma pochi lo fanno”.
In realtà temo che la forza della parola scritta, dell’insegnamento esterno, sia un meccanismo imposto dalla disciplina occidentale. Invece che ascoltarci obbediamo all’esterno. Detto così sembra terribile, e forse è solo un’esagerazione, però nello stesso libro ho scoperto che molti uomini non riescono ad urinare da supini per l’educazione avuta da bambini.


foto: Libri proibiti, dicembre 2010

giovedì 2 dicembre 2010

Queste sere, alcune sere


La mia stanchezza non è il risultato di una fatica, se non quella che faccio per non essere stanco. Puoi lavorare molto e accorgerti che non sei riuscito a lasciare i problemi attaccati alla scrivania, tra la foto del ragazzo in bicicletta e cartolina del ristorante giapponese. Magari è un po’ il tempo meteorologico che si mette di traverso, oppure quello cronologico, perché hai dormito poco e non hai più l’età per recuperare velocemente. Di fatto la tua mente punta, cerca, pulsa, come con cane da caccia in uno zoo appena sgomberato. Si sporge negli angoli della città cercando idee, stimoli, segnali. Ma si deve ritrarre perché il corpo non la segue, perché quest’oggi sta chiedendo una pausa. Se sei allergico come me alla televisione chiudersi in casa diventa un esilio. La radio immancabilmente sbaglierà musica e la tua musica è sempre la stessa. Gli occhi non vogliono leggere e le mani vorrebbero restare chiuse come fiori. In serate come queste dovrebbe esserci un abbraccio pronto in cui riposarsi, mani lievi che ti perlustrano le tempie e inviti a fare l’amore detti solo con le ciglia degli occhi. Devo comprarmi una bella coperta colorata.


foto: Roma, 30 novembre 2010, pioveva, c'era traffico ma in auto si stava bene. traffico, ma in macchina si stava bene.