martedì 28 giugno 2011

C'è un cartello che protegge le aiuole dai cani che sanno leggere


Vorrei un caleidoscopio che mischiasse le parole, che confondesse i sensi e da ogni sillaba potesse estrarre un universo. Vorrei che centrifugasse la semantica per estrarne quel liquido che solo alcuni poeti hanno assaggiato. Di tutte le parole che cadrebbero dal vortice a Terra, prenderei una sola sillaba e come uno studioso medioevale la userei come chiave per aprire il mondo. Se un poeta può essere rapito dal cartello appeso in un cesso, io voglio impazzire per cercare il senso di una parola sola. Ma non esiste un codice che descrive la realtà, nemmeno un gene, nemmeno un meme, nemmeno uno scosciare di caratteri verdi luminescenti su sfondo nero. Da qualche parte c’è un eremita, vestito di un cappotto comprato a rate, che bergonzona un modo di dire e lo usa come linguaggio universale. In una stanza arida di originalità c’è un genio che cerca una rima con una parola deformata dall’uso comune, e quando la troverà potrà rivelarla solo alla banchina deserta della metropolitana. C’è una donna che sta per partorire e intanto pensa ad un algoritmo che metta senso alle parole scritte in tutto il mondo, e si sente le doglie, ma non sono per il nascituro umano. Eppure sembra che nel pianeta riecheggi una lingua comune, come prima di Babele, come i versi incomprensibili degli apostoli, qualche cosa che è nell’umanità stessa. Se smettessimo di volerci far capire forse ci capiremmo. Ma non tu, tu parla, dannazione parla!



foto: Camminando su una poesia di Pessoa, opera di azt "Grandes sao os desertos, e tudo é deserto", Milano 2011

giovedì 23 giugno 2011

Ruvido, secco, tagliente


E’ una dinamica che odio, che devo scrivere per provare a levarmela di dosso. E’ come un pezzo di ritornello che ti si ficca in testa e continua picchiare, che cerca di attirare la tua attenzione, di portarti ad un ricordo, ad un momento particolare, ma tu ti opponi. Succede allora che ti svegli una mattina, sereno, con ancora un residuo di sogno tra gli occhi, che lavi via sotto la doccia. E nel lento avvio del mattino la tua mente segue pensieri simili a desideri, li dispone in ordine su un filo logico e li mastica, inghiottendoli con il caffè. Sono praticamente sogni, ma costruiti dalla volontà la stessa volontà che ad un certo punto ti tradisce. Va tutto bene, poi la storia prende una piega improvvisa, si arrotola, si ribalta e brucia. Fa male, proprio come un’ustione. E l’odore di bruciato ti si attacca addosso e ti avvelena il giorno, una fantasia diventa una cataratta che cambia anche il colore della luce. Puoi sputare rabbia quanto vuoi, arrabbiarti per un parcheggio, maledire la metropolitana, odiare l’ascensore, calpestare la posta elettronica, ma ogni violenza non ti ti distrarrà da quel finale impresso nella testa. Di peggio c’è solo sezionare razionalmente il fallimento del desiderio che ha creato la storia e sapere che è vero, inevitabile, sentirlo come una minaccia estesa quanto il cielo a cui non puoi sfuggire.


foto: Nails, Gunther Uecker "Struttura tattile rotante", Roma 2011

mercoledì 15 giugno 2011

Lasciati sfiorare


Fermati un attimo, solo un attimo, tanto sai che non posso trattenerti. Mi sfuggirai anche questa volta e ciò che adesso è presente, domani sarà vago, mischiato e sporcato dalle mie fantasie. Ti ho aspettata molto, perché molto ci hai messo a mostrarti. Prima il Sole, poi i palazzi, sempre la tua fuggevolezza. Non ricordo di averti mai vista così vicina, così prossima ad essere afferrata. Lo so lo dico sempre, ma sembra sempre un momento nuovo. La tua passeggiata questa sera sarà breve, una corta parabola per poi sparire dagli occhi. Ti immagino ridere, ti sei fermata vicino al lampione per prendermi in giro, per non farti “immortalare”, tu che sei eterna. Scusa, no, per il lampione non alludevo a nessun doppio senso. Non so se me lo chiederai, però ti rispondo ugualmente, "sì il vestito rosso ti sta d’incanto".



foto: eclissi di Luna, 15 giugno 2011

mercoledì 8 giugno 2011

Forse nel paese dei sogni, forse nemmeno in quello


Sarebbe bello se esistesse una macchina che trasformasse un pezzo di metallo in calore senza usare altra energia se non gli atomi del metallo stesso, e se con questa energia si potesse produrre vapore per far girare una turbina che generasse elettricità a basso costo. Se ci fosse dovrebbe essere facilmente controllabile, magari non dovrebbe esplodere spargendo nocive radiazioni che possano persistere per secoli. Se esistesse gli scarti del suo processo non dovrebbe essere né nocivi né inquinanti. Ma se così non fosse sarebbe meglio non usarla. Primo perché è una macchina, e le macchine si rompono, secondo perché è affidata alle cure degli uomini, che a volte hanno come primo pensiero il proprio utile o magari la riduzione dei costi. Io di questi uomini non mi fido. Se esistesse una tale macchina di sicuro non sarebbe una delle attuali o prossime centrali nucleari. Ma se anche fossero un poco più sicure non mi fiderei di questi signori che poi devono commissionarle, che hanno amici avidi che gestiscono già male quello che hanno, che vogliono fare ponti dove non servono e godono se ci si sono i terremoti. Per me è come se il Referendum mi chiedesse: vuoi mandare a quel paese questi signori? La risposta è sì. Per esserne sicuro che la capiscano gliela ripeto quattro volte.


foto: antinucleare, Aprile 2011