sabato 22 ottobre 2011

Folli, matti e dementi


Ho visto un brillare negli occhi che sembrava venire da un gioia lontana, quotidiana e infinita. Ho sentito il sapore erotico dell’ossessione, dell’esibizionismo del proprio esistere. Ho ascoltato le parole del guardiano della memoria, tutore e custode di “un’emozione che dura solo un paio d’ore”, e la caparbia convinzione di raccontarla, forse per ungere il futuro d’invidia e curiosità. C’era una voce contenta che parlava di un tunnel che collegava due mondi: un celebrato nuovo teatro, un vecchio teatro nato da un sepolcro fascista nato in un cinema. Nel tunnel c’era il mondo allo specchio, fatto di corde e cavi e elettrici, stoffe e tanto legno. Poi tutti questi uomini e queste donne che vagavano come vestali del tempio, in attesa dell’antica cerimonia, sempre la “prima”. Questi sembrano un nugolo di anonimi, che poi sono l’ossatura di questo mondo, come i dimenticati muratori delle cattedrali gotiche. La nebbia che bagna le barbe ci ha avvolti e protetti, e come un fantasma di Dickens ci ha fatto vedere il passato, il presente e un po’ di incerto futuro. Nel palco c’erano i matti e i dementi. I matti sono quelli dei manicomi, i dementi sono quelli fuori. C’era il dolore del dentro e del fuori; c’era la leggerezza che diventa sciocca quando cade nel momento sbagliato. Al centro c’era un piccolo uomo sordo, muto, analfabeta, amante delle bandiere, e per il solo fatto che ci fosse: tutto il dentro e tutto il fuori del teatro si sono mischiati.


Foto: la sartoria del Piccolo Teatro di Milano, 21 ottobre 2011