venerdì 19 ottobre 2012

Apologia della minestra


Avrei voluto prendere il telefono e dire una cosa del tipo “ciao, nulla, è che mi sento triste come una minestra...” Molte persone associano la minestra a qualche cosa di triste, di invernale, di malaticcio. Io non trovo che sia un piatto triste ma mi adeguo, si sa che le metafore sono fatte per gli altri. Io la minestra la trovo simpatica: è leggera, saporita se la sai fare e colorata. Inoltre se cucinata lentamente ti riempie la casa del profumo di verdura e di attesa, il giorno dopo è meno piacevole però al momento mi ricorda qualche cosa di caldo. Sabato scorso non ero affatto triste, mi sono cucinato una minestra e ho guardato un film di Godard. Immagino che a qualcuno ciò possa apparire tragico, ma ero veramente sereno. Da qualche giorno lo sono meno, anzi non lo sono affatto: il freddo si sente. Ho un ragù congelato e penso che lo userò per vestire gli spaghetti di un bel rosso profumato, abbinato a quello nel bicchiere, sperando di trovare un pensiero rosso da seguire nella serata. Ma come dice Ferdinando Bruni quando interpreta Rothko “rosso? rosso come?”


foto: Minestra
 

sabato 6 ottobre 2012

Di muro e muri


Non posso immaginare, né voglio scoprire, come nascono le mie ossessioni, ma un volta esaudite mi piace gustarne la sensazione aromatica che lasciano. Quando vidi questo muro rimasi attratto da un qualche cosa di indefinito, forse il grigio, forse il fiammeggiante e freddo neon al centro, forse le migliaia di piccole imperfezioni del cemento. Subito mi sono detto che lo dovevo fotografare, che dovevo portarmi via quella sensazione. Il continuare a rimandare questa piccola cosa mi torturava come la più grave mancanza, come un senso di colpa corrosivo. Ogni mattina e ogni sera, per mesi, mi sono soffermato a guardarlo ma mai ho scattato una foto. Oggi finalmente l’ho fatto. Il risultato non è stato quello sperato, per limiti miei, di capacità e di attrezzatura. Così alla ricerca della soddisfazione ho scoperto un mio limite e guarda caso è un muro. Io che ho sempre usato la metafora del muro per indicare un punto che non potevo raggiungere, così come il suo abbattimento per parlare di un obiettivo raggiunto, oggi mi trovo davanti ad un muro-limite vero. I momenti peggiori li ho sempre immaginati come deserti di marmo bianco e liscio e piccoli muri grigi sparse all’orizzonte che nascondevano qualche cosa da raggiungere. La foto di per se non mi dispiace, ma non è quella che immaginavo, non è quella che avrei stampato e appeso ad un altro muro. Non ha il dettaglio, il contrasto che il muro vero possiede. Magari un giorno ci riproverò quando avrò nuove idee, magari nuovi strumenti, per il momento ho solo aperto l’assalto ad  un altro muro che è rimasto in piedi, ma trema, perché sa di essere sotto assedio.
 

foto: Grey wall - 6 ottobre 2012