sabato 9 novembre 2013

"Ti amo"



“Ti amo” ha detto, l’ho sentito chiaramente. Glielo ha detto stringendola e lei lo ha guardato un po’ sorpresa, quasi divertita, o forse imbarazzata. Non ci posso credere, non voglio credere che gli abbia detto per la prima volta “Ti amo” in metropolitana. Da come ha reagito lei non sembrava una frase usuale. Veramente avrà sprecato l’incantesimo di quella formula magica nel rumore dei vagoni, nella puzza dei vestiti degli altri, nella pioggia e nella stanchezza del venerdì sera? Io che l’ho detto una volta sola, ancora mi meraviglio di chi lo dice così come direbbe una cosa qualsiasi. In questa nostra razza di spergiuri forse c’è poco da meravigliarsi. Quando lo dissi io, mi guardò come se avessi fatto una battuta stupida e fece uno sbuffo. Da allora non l’ho più detto, l’ho pensato, ma non sono arrivato a dirlo, per lo più per questione di tempo. E’ in fondo una cosa che tengo per me, che custodisco in attesa di consegnarla. Come quei piccoli oggetti che da bambini ritenevamo  amuleti, lo sapevamo benissimo che non valevano niente, però erano importanti. Per me le parole sono importanti e l’aria è densa delle parole che dico e che ascolto, come se fossero tracciate nell’ossigeno. Non è vero che verba volant: restano e pesano. Eppure quella sera io l’ho sentito, forse è scappato fuori, come il respiro trattenuto troppo a lungo. Allora lo capisco che non ce la fai più a tenerlo dentro, che ti scoppia come un singhiozzo. Speriamo solo che lei lo abbia accolto come merita.

Foto: 9 novembre 2013

domenica 3 novembre 2013

Futuro come oggi


Da quando ero piccolo il mondo è molto cambiato, e voglio dirlo ora prima di doverlo dire da vecchio su una panchina del parco ad una badante. Il mondo era, più o meno, diviso in due blocchi politici, economici e sociali. Non era una questione di schieramento, o di dove nascevi, erano proprio due visioni del mondo, due desideri di futuro differenti. La scelta era puramente politica, ma lo era in tutto, anche in come ti vestivi, cosa leggevi, cosa mangiavi, la squadra di calcio per cui tifavi, astronauta o cosmonauta, un po’ come la cantava Gaber in pratica. Chi nasce oggi non può scegliere, si deve prendere la realtà così come è senza modelli alternativi. Certo può immaginarli, inventarli, ma adesso non li ha. Nemmeno allora c’erano, sia chiaro, il blocco sovietico e quello americano erano la brutta (se non spaventosa) caricatura delle realtà che volevano essere, ma almeno entrambi dicevano che un altro futuro era possibile. Anche la piccola politica quotidiana è l'immagine di ciò, della mancanza di progetto, è divenuta un barcamenarsi per stare a galla, non dalla Crisi, ma da parte di una oligarchia che cerca una crisi per giustificarsi. Forse la Storia non è finita, i conflitti pseudoreligiosi e le “potenze emergenti” apriranno nuovi capitoli, ma nessuno mi parla più di futuro. Non dico che nessuno ci chieda di arruolarci per questa o quella campagna, per questa o quella idea, per questa o quella religione, però nessuno ci propone più un futuro alternativo al reale. Certo i movimenti di cambiamento ci sono, ma sono piccoli, sono gruppuscoli eretici nella grande cerimonia del presente. Siamo piombati in un nuovo Medioevo e aspettiamo l’Apocalisse dell’anno 3000? Se la Storia se ne accorge finisce che ci da lei la sveglia.    



Foto: Internazionale1024