martedì 3 giugno 2014

Invertigine


Guardare dal basso verso l’alto un monte immenso, un albero maestoso, un imponente edificio, ed immaginare di salirci. Immaginare, senza provarci, di sentire lo sforzo dei muscoli che ti tirano su metro dopo metro. Immaginare la temperatura dell’aria e la forza del vento cambiare, sentire il sole farsi più caldo perché vicino. Immaginare la gravità che si fa prima opprimente e poi lieve come un amano che vorrebbe trattenerti al suolo ma poi ti lascia andare ritirandosi. Immaginare il dolore dei polpastrelli uncinatii alla materia, la pelle graffiata, e goderne. La fatica viene sempre ristorata dalla visuale conquistata, dall’orizzonte nuovo, dal diverso punto di vista. Pensi che ne è valsa pena arrivare sudati così in alto? Si poteva rimanere a terra ma si avrebbe ignorato tuto questo, non avremmo visto quello che stiamo vedendo e vorresti urlarlo a tutti “salite pazzi! salite! non aspettate...”. Il cuore dopo un po’ si calma, il sudore si asciuga e inizia a fare freddo; quello che era un punto di vista nuovo diventa familiare, diventa un punto di vista tra i tanti. E’ ora di scendere. Ma perché rischiare? Magari cadere e sfracellarsi al suolo? Potremmo restare qui ancora un poco. Guardare dal basso verso l’alto e immaginare, non fare un solo passo, ma immaginare tutto e non muoversi. “Tra il primo pensiero d’una impresa terribile, e l’esecuzione di essa, (ha detto un barbaro che non era privo di ingegno) l’intervallo è un sogno, pieno di fantasmi e di paure.” Ha detto un Alessandro Manzoni citando il Giulio Cesare di William Shakespeare.


foto: Trapped, giugno 2012