sabato 29 gennaio 2011

Ossigeno nel giorno del blocco del traffico


Le carezze della musica eseguita da vivo mi conquistano solo quando riescono a far andare lontano le mie fantasie, quando la mia curiosità inizia a frugare nei dettagli, fino sotto i tasti del sassofono. Allora inizio ad esplorare le facce dei musicisti, la minima espressione, sperando di cogliere il godimento, la tensione o qualche altro umano sentire. Rimango rapito dalla serena dimestichezza con cui maneggiano gli strumenti, come se non importasse più la posizione delle mani. Da quel momento non mi sembrano più umani, ma estensioni carnali del loro strumento: tentacoli muscolari chirurgicamente cuciti nel legno e nel ferro. Seguo le mani, immagino la linea dello sguardo, traduco le pieghe della bocca, per rubare un poco di più di ciò che mi regalano le orecchie. Più si entra nella musica più si cerca la musica; più si incontrano le cose conosciute, più queste diventano disgustose. Come deve essere difficile per un musicista ascoltare musica che lo entusiasmi! Riuscirà mai ad accendere la radio? Cercando la musica composta da un uomo chiamato Moondog che viveva tra le strade di New York negli anni 50, rendergli omaggio e aprirci gli occhi. Quando chiusi nella propria casa si sentiamo al sicuro, ventate di aria nuova rinnovano il richiamo e danno un senso al respirare.


Foto: Hobocombo @Leoncavallo 28 gennaio 2011

sabato 22 gennaio 2011

L'uomo senza parole





Le parole si bloccano o si travestono da baccanti umoristiche se cercano di parlare della situazione italiana sia politica che sociale. La rabbia si appallottola in un grumo di saliva che soffoca, allora bisogna lasciarla defluire piano, ridendo, perché non è più tempo di spiegazioni e di ragionamenti. Di fronte a tutto ciò non c’è nulla da analizzare o da capire, se non per scoprire che non è il fondo del pozzo e che c’è già chi sta scavando. La generazione dei nonni ha costruito, quella dei padri ha lasciato che ciò che c’era da finire diventasse libero di distruggere il costruito, la nostra ora deve pagare il prezzo di essere consapevole del declino, la nuova avrà almeno la possibilità di ricominciare senza eredità. Se guardo la fantascienza sorrido, temevamo il disastro nucleare, invece ci troviamo quello sociale, temevamo gli alieni ma covavano il nemico dentro, chiamavamo utopia un progetto e oggi facciamo di tutto per addormentarci e non sognare. Eccolo il postmoderno, l’assenza del desiderio, la mancanza del progetto di un futuro migliore, mentre ci accontentiamo che il domani sia poco meno peggio dell’oggi. Ma tutto ciò perché? Perché lo tolleriamo? Perché aspettiamo che la palla di rabbia nelle nostre gole esploda portandoci a fare cose che poi condanneremo nei libri di storia? Ho sempre pensato che gli U.S.A. fossero un anticipo del nostro presente e che, in un modo o nell’altro, avremmo seguito le loro evoluzioni; ma questa volta non trovo nulla nella storia che non assomigli all’oggi se non ciò che c'era prima della Rivoluzione Francese. Anche se non ci manca la ghigliottina, sento la mancanza di Voltaire, forse anche di un Napoleone, insomma di qualcuno o qualche cosa che incarni un futuro possibile. Non voglio uno scarto di politicante, o un isterico comico, nemmeno un lungo o un tempo, voglio un libro. Un libro da mettere in mezzo al tavolo e lasciarlo crescere, che sia mattone e cemento di un futuro. Non voglio un libro che detti un'indiscutibile verità come una Bibbia, nemmeno un testo che faccia un’analisi scientifica come il Capitale, voglio qualche cosa di più quotidiano. Voglio un cielo grigio sopra un porto che sembri un televisore sintonizzato su un canale morto.




Foto: L’uomo con il megafono, P.B. 22 gennaio 2011

mercoledì 12 gennaio 2011

Fuori tempo




Il tempo cerca di fluire liscio intorno, bruciando le cose e le persone, facendo scadere gli yogurt e le assicurazioni, ma su di me si infrange. Sono come un masso nel mezzo del fiume. In questo devi ammettere che ho vinto io: ho spezzato ogni data. Sono nato nel periodo non previsto, ed è stato solo l’inizio. Da bambino ero già vecchio, o per lo meno un po’ meno giovane di oggi che non so cosa sono. Non ho rispettato nessuna scadenza, benché ci tenga alla puntualità e non mi piaccia far aspettare. Forse ho deluso qualcuno ma non l’ho fatto volontariamente, e forse me ne pento in un caso solo. Se avete un progetto di vita su di me potete buttarlo, non credo che lo rispetterete. Magari parliamone, se riuscite a convincermi farò di tutto per esaudirlo; ma non sedetevi su di una panchina di un qualsiasi parco, di una qualsiasi città, ad aspettarmi perché non passerò. Questo essere fuori dalle agende è un peso, ed se a volte sembra leggero è solo per fortuna, e perché non bado a certe convenzioni sociali. Non è nemmeno una libertà, è solo un modo di vivere ad una altra velocità, non costante.


foto: opera di Loris Cecchini - Wallwave Vibrations (quanta canticum) - 2009 @Fondazione Pomodoro Gennaio 2010

martedì 4 gennaio 2011

Decantercoaster


Si getta il rosso dalla mano, al bicchiere, al vuoto. Si infila e gira nel vortice nel collo. Ogni singola goccia si aggrappa al vetro con unghie di viscosità e urla di panico nella caduta. Ancora più sotto a testa in giù finché la gravità non strappa il fluido dall’alto e lo butta nello stagno placido dell’arrivo. Come il mio sangue, all’improvviso, per ogni cosa nuova, si rimescola come una folla in fuga e, passato l’evento, si placa come se nulla fosse accaduto. Vino rosso coagulato, indifferente, in attesa delle labbra.



foto: decanter, 31 dicembre 2010

giovedì 30 dicembre 2010

Dentro la ciambella


L’anno che si chiude avrebbe dovuto essere l’anno dell’uscita da tante cose. Invece non è stato così, non sono uscito proprio da un bel niente. Uscendo avrei abbandonato alcuni pesi vicino alla porta, e più leggero avrei cercato di vagare esplorando, cercando cose nuove. Ho fatto un giro breve e poi ho ripreso, uno per uno, i miei pesi. Alcuni rinnovati, altri addolciti, ma sempre loro. Nel mio vagare ho incontrato cose nuove e le ho raccolte, molte sono cose belle, però richiedono tempo e attenzione. Dovrei concentrarmi su una cosa sola, ma non ci riesco, come se avessi una fame insaziabile che “si prende tutto, anche il caffè”. Temo che dovrò rifare tutto da capo. In fondo ciò che cercavo di ottenere era sviluppare il punto più lontano del mio carattere: la serenità, ma non ci sono riuscito. Volevo essere un tranquillo laghetto alpino, ma sono un pozzanghera sferzata dal traffico. Ma in fondo non è vero, la verità è che vorrei l’energia per poter fare tutto, di poter ficcare il naso in ogni angolo e da ogni angolo estrarre qualche cosa da esplorare ancora. Ma la mia energia è troppo poca anche per darmi il tempo di srotolare i sogni su carta. Porto nel nuovo anno delle nuove gioie e delle nuove amarezze, porto conferme e punti d’appoggio precari. Per mia volontà oppure per destino, l’anno prossimo sarà un anno di svolta, un anno di passaggio al successivo che sarà molto diverso da quelli vissuti finora. Dovrò ricordarmi di andare a rieleggere queste parole, se non altro per ridere di me, almeno per contare i giri in questo moto circolare. Facciamoci gli auguri.



foto: fuori da qui, Milano 28 dicembre 2010

martedì 28 dicembre 2010

La guerra è finita


E’ stato un lampo di vertigine sulla grafica. Un segno, forse magico, che ha aperto un crepaccio nella mattina fredda. Era una stellina disegnata con un pennarello sulla parete del vagone. Vibrava, a causa delle scosse, come se danzasse sopra la sua “i”. Sopra la scritta “I give up! goodbye”, “io mi arrendo! Addio”. Ho immaginato una piccola adolescente seduta storta con il ginocchio sul sedile a tracciarla. Ho visto chiaramente la scia dei sui jeans ficcati negli stivali, un pezzo di culo sporgere dalla cintura e dal piumino lucido. Ho pensato alla canzone dei Baustelle, a quella “bic profumata / Da attrice bruciata”. Giuro che sono inorridito. Giuro che mi sono ricordato di me, di allora, quando un nulla mi faceva tracciare scritte ben più tremende, sgorganti come vene aperte dal mio egocentrismo. Erano dei nulla, perché di quei nulla ne sono seguiti una serie, ma allora non potevo saperlo. Solo dopo aver messo in fila le delusioni ho capito che erano la normalità. Piccola mia, non ti arrenderai, quelle tragedie di oggi sono le inezie di domani che si fanno minuscole per fare spazio a nuove tragedie. Non ho più i miei scritti, li ho buttati tutti, però alcuni temi potrebbero essere di personale attualità. Chiedo scusa per tutta questa negatività ma non ho ruolo per fare paternali, però voglio rimediare: tu non ci crederai ma , nel buio di questi giorni, oggi sono andato a casa contento per aver fatto una foto.



Foto: 28 dicembre 2010, MM3

sabato 18 dicembre 2010

Mattina gelata d’inverno


Oggi io e la neve abbiamo fatto pace. Me lo aveva proposto lei ieri pomeriggio scendendo lenta, ma spostandosi di lato per non intralciare il traffico. Mi disse “resto e domani ci sarà il sole”, così è stato. Sapevo dentro di me, anche se ho sbirciato le previsioni meteo, che avrebbe mantenuto l’impegno e questa mattina mi ha chiamato. Ha lasciato al Sole il suo posto più alto e al vento freddo tutto lo spazio intorno, lei si è distesa pigra sulla terra che era rimasta morbida e si è lasciata percorrere, come farei su una pelle, voltandomi ogni tanto indietro per guardare i segni che lascio. Le impronte nella neve sono piccoli giochi con il passato, appunti scritti sul tovagliolino di un bar perché qualcuno, forse, li ritrovi. Ridevo solo nel freddo, e la neve sorrideva, abbiamo anche parlato di progetti assieme, di idee, di altri giochi. Non so quando succederà ancora che ci esalteremo sincroni nei nostri capricci.


Foto: Oasi del Carengione, 18 dicembre 2010