venerdì 13 maggio 2011

Il meglio del meglio


Le decisione venne presa con la leggerezza con cui si fanno le azioni evidentemente giuste. Quali queste siano non chiedetelo a me, ma a chi riesce a sorvolare sulla rovina che campeggia sotto il sole sui marciapiedi. Presa la decisione l’atto scaturì a piccoli passi ma con azione costante. Si circondò di cose belle, liberò il tempo dalle cose noiose o spiacevoli e lo riempì di gusto. Non disse più né sì né no, ma si mosse veloce perché nessuno potesse intercettarlo e fermare il suo piano. Per prima cosa annullo il pensiero: passare dal bello, al giusto, al gustoso, al profumato, all’intelligente, al prezioso non necessità di lunghe riflessioni. Poi annullò il riscontro, invertendo il Big Bang, contraendo tutto l’universo ad una piccola palla grande come la propria lingua, per poterlo contenere dentro di sé; lo fece perché tutto ciò che non fosse sé stesso non desse fastidio. Alla fine venne un pomeriggio di domenica, perché la domenica è la traditrice dei cercatori, quando si fermo al centro di un suo salotto, guardò la grande finestra di fronte e crollò. Immaginatevi un Poldi Pezzoli del nuovo secolo, più rapace e più sofisticato, più affamato e più metodico; illuminato dal sole di Maggio in faccia, immaginatelo colto da un conato di vomito, di rabbia, come se tutto il brutto, il vuoto, il marcio che aveva rigettato si presentasse improvviso in un istante solo, nella gola vicino alla lingua. Così dovette crollare, a terra nel centro esatto della propria collezione, per non aver raccolto l’unica cosa che valesse la pena di possedere. Purtroppo non lasciò detto cosa.


foto: Drive me out from all these words, flickr

giovedì 5 maggio 2011

Ufficio desideri inutilmente espressi


Tutti te lo dicono che devi inseguire i tuoi sogni, che non devi “lasciarli andare”. Ma andare dove? Chi ha smesso di seguirli? Ma la mia domanda principale è come si seguono i sogni? Ce ne sono alcuni che sono facili, richiedono uno sforzo quasi normale, non più che andare a lavorare tutti i giorni. Altri sono più difficili perché ti chiedono di rompere una situazione di comodità per andare a fare altro. Altri sono quasi impossibili perché dipendono da condizioni particolari, per non parlare di quelli che riescono solo con la collaborazione dagli altri. Seneca scrisse che si può chiedere agli dei solo ciò per cui si ha coraggio di chiedere ad alta voce nel tempio. Ho visto in giro certa gente che avrebbe la faccia tosta di chiedere qualsiasi cosa, ma in fondo Seneca si riferiva a Lucilio che era persona sensibile e non certo un approfittatore di dogmi. Alla fine certi desideri si realizzano, a volte per pura coincidenza, a volte perché inconsciamente abbiamo preso la strada giusta. Mi piacerebbe per una volta, con una mossa “da cavallo”, sorprendermi e realizzare un mio desiderio che dipendesse interamente da me. Sia chiaro, se qualcuno ha un desiderio che lo renda felice e che io posso realizzare, basta chiedere. Non c’è poi molto da scandalizzarsi: tanto anche se siamo in tanti, su questo granello rotolante, le storie sono sempre le stesse.


Foto: Cara Vecchia (molto) Europa - Mappamondo

martedì 3 maggio 2011

Non te lo leggo negli occhi, tu non lo leggi nei miei


Sono i dettagli a staccare l’immagine principale dallo sfondo. Nemmeno un angolo bianco, appena tinteggiato, è completamente bianco e da quando il bianco ha perso la simbologia della purezza, in Europa, altro non è che un colore netto. Siamo mappe della nostra storia, ma i segni con cui siamo scritti sono legati a lingue segrete. E’ facile leggere una battaglia in una cicatrice, ma pochi possono leggerci una gioia. Nessuno può interpretare i piccoli gesti del comportamento, che se fossero parlanti, racconterebbero avvenimenti incredibili. Allora schiacciamo tutto, a bianco, a nero, a felice,a triste, a sano, a malato. De-saturiamo i colori per semplificarne la lettura, come i fisici che si inventano di togliere l’aria dagli esperimenti per far riuscire i calcoli. Se ogni segnale avesse un suono impazziremmo di rumore, se avesse un odore vivremmo con il naso tappato. Raccontiamo i nostri desideri con le scritte sulle magliette oppure annulliamo il messaggio facendo l’eco a quello di altri. Stampiamo LV ovunque, cancelliamo le altre lettere dell’alfabeto, non diciamo più nulla, stiriamo le pieghe, copriamo gli occhi e mettiamo in fila. Poi a casa studiamo le soap come testi sacri, invidiando quelle passioni da montagne russe, da sentimenti tutti esterni e nessun desiderio inespresso. Chissà se in Africa il bianco è ancora il colore del lutto?


Foto: M. Cattelan, LOVE, Milano P.zza Affari

mercoledì 27 aprile 2011

Sono io, sono te


Non poteva essere se non così, con le parole di Arrigoni diventate bandiera per molti. Una bandiera netta, non interpretabile, non dipendente dai giudizi delle mode e della storia. Una richiesta semplice, e come tutte le cose semplici, tra le più difficili da realizzare. Vittorio ci chiedeva di fare quel passo che supera la nebbia e che ti fa vedere nella figura che hai di fronte, non una generica sagoma, non un’informe essere ostile, ma un tuo simile, umano: te stesso. Restiamo umani nelle passioni, nelle ambizioni, nel desiderio di felicità, senza chiudere gli occhi. Quando riesci a vedere te stesso negli altri non puoi fare la guerra, nemmeno quella che esporta la democrazia, nemmeno quella santa, nemmeno quella giusta. Anzi di queste definizioni puoi solo inorridire, perché ti vedrai tra le vittime. Quando riesci a vedere te stesso negli altri non puoi pensare di sfruttare le loro condizioni di miseria, la loro ignoranza, il loro dolore, nemmeno la loro terra. Se ti vedi negli altri sei umano, altrimenti no. Eppure è la cosa più difficile, perché prima di Vittorio lo hanno detto i filosofi, i profeti, gli emissari divini, i musicisti e le star della televisione, eppure non riusciamo a vedere che il nostro nemico siamo noi “anche se con la divisa di un altro colore”.


foto: dal 25 aprile 2011 a Milano (set completo)

domenica 24 aprile 2011

Attraverso lo specchio


Facciamo finta, almeno per una volta, che la risposta ci sia e sia vicina. Ma forse è ancora troppo poco. Facciamo finta, solo per oggi, che la risposta io la veda e, soprattutto, la capisca. Lasciami immaginare che ci sia in un armadio, tra le vecchie valigie, una scatola con dentro ciò che cercavo. Succede che aprendo l’armadio le due ante munite di specchio rimbalza la mia immagine migliaia di volte finché la luce non si disperde completamente; ed è li che mi distraggo perché la mia mente si dimentica della scatola e va a cercare ciò che c’è negli specchi. Solo che nello specchio non c’è né Alice né Carroll , non c’è un mondo inventato ma solo la continua ripetizione della mia immagine. Mi tolgo dalla linea visiva e gli specchi rimbalzano se stessi. Se mi allontano ancora un po’ capisco che forse c’era la risposta ma io guardavo il rimbalzare della domanda. La luce ad ogni rimbalzo perde un poco di energia e alla fine non riesce più a raggiungere né lo specchio di fronte né i nostri occhi, così in fondo ci appare il buio, come se ci fosse una fine nell’infinito. Sicuramente è una metafora, ma non ho aperto la scatola quindi non so di cosa.


foto: Attraverso lo specchio, 23 aprile 2011, Flickr

lunedì 11 aprile 2011

Marrakech


Tutto quello che si dice su Marrakech è vero. Almeno tutto ciò che riguarda il caos, i souq, la piazza e il clima. Questa città nata da un accampamento ha mantenuto un forte sapore di deserto, forse per le strade polverose, forse per la facciate rosa delle case, forse per quel senso di disordine e precarietà. Però se si vuole fare un’esperienza degna dei migliori diari di viaggio si deve entrare in Medina, perdersi nei souq e cercare di ritrovare la strada per casa. I venditori non sono invadenti, lo sono un po’ i ragazzi che si improvvisano guide, tenaci nel chiedere una mancia ma mai aggressivi. Attraversando i souq da nord a sud arriverete alla piazza. Basta questo nome: la piazza, the square, la plaza. Perché tutto succede qui, tutti vengono qui, tutti sono qui, tutte le sere tutta la sera. Si potrebbe stare per ore a guardare la folla muoversi nella piazza, tra le bancarelle e i fumi delle braci, tra i narratori di storie e di prediche, i serpenti, le scimmie e le altre attrazioni. Come quando si guarda il mare: benché sia sempre lo stesso non è mai uguale. La religiosità esposta e pervasiva, la forza della parola sono evidenti in questa città e in questa cultura. Gli abitanti ascoltano incantati i predicatori e i narratori di storie, tutti spremono il massimo che possono dalle parole di tutte le lingue che conoscono. E’ una città che non mi assomiglia, forse è la più lontana da me tra quelle che ho visitato, ma potrebbe intrappolarmi se le lasciassi il tempo di convincermi che tutta quella confusione non fa male ma è il risultato di tanta storia e tanta umanità che cerca di vivere assieme nel migliore modo possibile. Sì forse potrei lasciarmi incatenare in un giardino al profumo di tè alla menta.


foto: La narratrice, Marrakech, 8 Aprile 2011. Le altre sono qui.

domenica 3 aprile 2011

Una Primavera per salvarsi


Facciamo il punto prima che arrivi la Primavera, prima che si presenti con tutte le sue pretese e io non sia pronto nemmeno per negarmi. Oppure facciamo il contrario: mi dimentico di tutto così quando arriverà la primavera potrà cogliermi di sorpresa senza che io possa nascondermi dietro una scusa qualsiasi. Tolti gli impegni lavorativi, che per benedizione in questo periodo se ne stanno confinati nel loro recinto orario, mi trovo a dover affrontare la parte più critica del “progetto casa”, ovvero la scelta dei rivestimenti e dei primi mobili. Di per sé è un’avventura affascinante, intrigante e finalmente concreta visto che fino ad oggi ho considerato il design come qualche cosa che qualcuno faceva e qualcun altro si comprava e si godeva. Il mio rapporto col design è in realtà un discorso noioso che pochi tollerano. Quindi tutto sarebbe stupendo se non si dovesse alla fine pagare, il che rende paradossale tutto il lavoro di ricerca fatto. Per non parlare del fatto che molte decisioni devono essere prese in maniera definitiva e se vengono sbagliate il loro effetto mi perseguiterà per molti anni a venire. Ma la decisione non mi spaventa, fino ad oggi sono e resto convinto delle mie scelte. Però capisco se mai qualcuno, nella storia, si è sposato o fidanzato solo per poter delegare all’altra (o altro) certe scelte. Forse condividerle le alleggerisce? O forse no? In fondo la mia casa è un mio spazio mentale, è la costruzione di una cosa mia, oggi se dovessi pensare a una cosa “nostra” sarebbe tutto differente. Al massimo potrei clonarmi nel sesso opposto. Ma l’accoppiamento di due identici non porta all’annullamento? In ogni caso la mia testa è chiusa in un vincolo gravitante tra sogno e mutuo, tra adesso e domani. Meno male che ci sono gli amici a strapparti dal circolo autistico del proprio pensiero e quella che mi sembrava una bizzarra fuga di tre giorni a Marrakech oggi mi richiama come una salvezza: una porta verso l’aria aperta. Potrei dire un balzo nella primavera, quella delle stagioni e quella della storia del Nord Africa. Sbrigati primavera e fai quello che devi fare.



foto:Montagna di sale di Mimmo Palladino, Milano davanti a Palazzo Reale. Altre qui.