venerdì 22 giugno 2012

Si chiama Estate


L’odore dell’estate è quella dei tigli, dell’aria calda della pianura che sa di prato e resta ferma sotto il naso. E’ il calore dolce del tramonto, quasi fosse una promessa per una notte accogliente e non insonne e sudata come invece sarà. Le voci dei bambini non sono soffocate dalle case, dai lampi del televisore acceso, ma squillano e ripetono le stesse frasi da migliaia di anni, così i richiami delle madri. Vorrei chiamare l’amico di tutta un’infanzia e urlargli, ridendo al telefono, “non è cambiato niente! non è cambiato niente”. Quell’eterno gioco a nascondino, le cretinate dette, oppure i segreti raccontati a bassa voce quando il cielo era già scuro e ci faceva sentire grandi ritardare l’ora del rientro. Oggi il mio amico starà facendo lo stesso pensiero guardando le sue due figlie giocare in giardino. Maledetta adolescenza che avveleni i giochi dell’infanzia per scimmiottare la tragedia degli adulti. Così da adulti giochiamo a fare i bambini ma senza l’impegno e l’illusione del tempo infinito e la volontà di voler occupare tutta un’estate.


foto: Summertime, 22 giugno 2012

domenica 10 giugno 2012

Gli ultimi saranno in ritardo


Sono spesso in mezzo a noi ma li percepiamo solo come un fastidio, nulla di più, senza ipotizzare che possano essere altrimenti, come le zanzare. Da quando sono apparsi sulla sulla terra sono  stati allontanati, cacciati, rinchiusi, schiavizzati, sterilizzati, massacrati eppure sono ancora nelle nostre città ma noi ne vediamo solo la mano tesa. Se strizzassimo un po’ gli occhi potremmo cercare di mettere a fuoco il polso, il braccio e infine la persona che c’è in fondo.  Mi sono fatto una domanda, ma com’è possibile che ci sia gente che viva così per scelta? Com’è possibile che si possa voler vivere da nomadi, nelle roulotte, nei campi? Chi può scegliere come vita il mendicare, piccoli furti o truffe? Non sapendo dove trovare la risposta il caso mi ha messo nelle mani un libro. Anzi il libro, una vera enciclopedia del mondo romanès e della loro cultura, perché guarda caso ne hanno una. Anzi, nonostante la persecuzione hanno conservato gelosamente la loro cultura, intatta, non arresa. I mendicanti che incontriamo sono la parte evidente di un popolo disperso nel mondo, per lo più integrato e sedentario. Ovviamente noi vediamo solo gli “zingari” che ci tendono insistentemente la mano, un gesto di resa per un popolo che non si è mi arreso ed è l’unico popolo che non ha mai dichiarato guerra a nessuno. Non basta un libro per allontanare la diffidenze, a me non è bastato, ma scardina la visione monocromatica del bianco e del nero, del giusto e dello sbagliato, della ragione e del torno, del raccontato e del vissuto. Santino Spinelli è una Virgilio molto bravo se in un giorno di ardore vorrete liberare un pezzo del vostro pensiero mai abbastanza libero.

Foto: In una piazza vicina, il giorno dell’arrivo del papa a Milano.

venerdì 8 giugno 2012

La chiave di un universo in promozione diretta

E’ comparso improvvisamente con una frase del tipo “ciao sono un cantautore e mi promuovo proponendo direttamente il mio cd”, e abbiamo scherzato e chiaccherato interrogandolo sul quanto fosse difficile fare musica per mestiere, oggi, qui. Il cd l’ho comprato, non certo per pietà o solidarietà, ma perchè ad ogni copia aveva incollato un piccolo oggetto preso da casa sua. All’inizio avevo addocchiato quello con una piccola ambulanza giocattolo, ma alla fine ne ha tirato fuori uno con una piccola chiave metallica. “Che chiave è?” aspettandomi un “bho”, invece lo sapeva ed era la chiave dalla cassa del negozio di ferramenta di suo padre. In quel momento avevo davanti un uomo, una storia, tante storie, un vorticare di universi passati e presenti. La chiave era quella della cassa della ferramenta e lui ci aveva lavorato il sabato, poi la chiave gli era rimasta, probabilmente persa in un barattolo o in scatola di cianfrusaglie, per ricomparire incollata alla copertina del suo disco. Non so se riesco a trasmettere il fatto che tutto ciò mi sembra straordinariamente bello, unico, quasi magico. Tengo in mano la chiave e mi sembra di sentire l’odore della ferramenta, la luce del sole che illumina in maniera differente i vari oggetti, le latte colorate, l’odore della polvere.  Ora che sto ascoltando la sua musica riconosco il suo modo di parlare nei suoi testi, in un modo più diretto e deciso di quella sera , adesso  immagino il suo ciuffo biondo oscillare al tempo degli accordi. E’ incredibile quanta vita si possa rubare in pochi minuti.

foto: Libero Tutti / Paolo Fan - giugno 2012

domenica 3 giugno 2012

In fondo anche questa è una preghiera

Secondo me è una contraddizione eccessiva che si parli di religioni contro religioni, di anti e di pro, proprio perché l’argomento è così universale che sembra un cielo. Io ci sono (ne sono quasi convinto), un dio o più forse, se però c’è tutto diventa semplice altrimenti tutto è un po’ demoralizzante, come  cercare parcheggio per andare a lavorare. Preso per buono questo punto di partenza ci si inizia a scannare sul resto: sui riti, i comportamenti individuali e sociali, i ruoli e i poteri. Ma questo cosa c’entra con la religione? Come se per organizzare le vacanze in gruppo non si decidesse se mare, città o montagna, ma il gusto del gelato che deve mangiare. Premesso che preferisco i gelati alla frutta e le città, non ne faccio una dottrina. Così un piccolo prete si ritrova schiacciato da un’immagine e un pregiudizio che riguarda un cardinale perverso e intrallazzato, si vendono santini e viaggi miracolosi, perdendo tempo a cercare di essere felici immaginando un amplesso col carrello del centro commerciale. Da qui diventa facile semplificare tutto come se i mussulmani fossero tutti farsi esplodere, i buddisti prendessero fuoco spontaneamente o i testimoni di Geova molestassero con gusto i citofoni. Mi ricordo che da piccolo a catechismo quando spiegavano che Dio mandò suo figlio per portare ordine nel casino che c’era la cosa mi sembrava molto logica, meno logica mi sembrò allora e oggi ancora peggio, che il casino due mila anni fa fosse peggio di questo. Cosa c’era di più o di meno? Le guerre ci sono, lo sfruttamento c’è, l’ingiustizia c’è, la miseria c’è, l’odio c’è e in più abbiamo il capitalismo e distruggiamo anche il pianeta. Forse l’unica grande opera è ricostruire la Torre di Babele, così si incazza di nuovo ma almeno di fa sentire.

Foto: Nun (?), presidio anticlericale Milano, 2 giugno 2012

lunedì 28 maggio 2012

Non si può imprigionare un arcobaleno


Non si può imprigionare un arcobaleno, al massimo si può fissarne l’immagine in una fotografia, ma non è la stessa cosa. L’arcobaleno è una cosa grande, alta come cielo e lunga come l’orizzonte, ogni contenitore esistente è comunque troppo piccolo. Non si può nemmeno conservarne un pezzo, perché esiste solo nella sua interezza e nel punto stesso in cui compare. Eppure insisto nel provarci. Ogni volte mi brucia la voglia di mettermi in macchina e inseguirlo fin dove tocca il suolo, non tanto per trovare la pentola d’oro degli elfi, ma per guardarlo appoggiarsi sulla terra, come i fiocchi di neve invece che come le gocce di pioggia nelle pozzanghere. Ma come le aurore, i tramonti, anche gli arcobaleni esistono solo in lontananza, come fantasmi e riflessi, come esibizioni di molecole vanitose che non si lasceranno avvicinare. Però si possono condividere, scoprire all’improvviso e indicare con stupore a chi ci è vicino, condividerli senza possederli, coglierli senza consumarli, lasciarsi incantare senza un risveglio dopo.


Foto: arcobaleno, 24 maggio 2012

domenica 20 maggio 2012

La mano invisibile


Sembra che esista, e che molti ne abbiano provata l’esistenza, una presenza che agisce in maniera invisibile nella nostra vita. Come una radice che compare all’improvviso nel bel mezzo del marciapiede per farci inciampare e subito scompare. Come un ladro veloce che vi nasconde un oggetto quando serve per restituirvelo quando diventa inutile. La stessa entità che vi sposta i cartelli stradali, gli abiti negli armadi, che vi trattiene o vi spinge ostacolando i vostri movimenti, apparentemente per mettervi in imbarazzo. Però è la stessa mano che picchia sulla vostra spalla per farvi voltare quando qualcuno vi sta fissando. E’ quell’alito che soffia all’orecchio scatenando brividi quando sentite che un momento speciale sta per incominciare. A volte è una guancia che si appoggia alla vostra quando la tristezza è esondata e sembra che ci sarà solo buio. Qualunque cosa sia, indipendentemente da dove venga, di che materia sia fatta, che sia reale o no, purtroppo sembra che non ascolti le nostre richieste, che non accetti ordini o desideri. In effetti l’udito è inutile alla sua esistenza, perché osserva solo noi, estrae i nostri pensieri e ci gioca: del resto del mondo non se ne cura. Se non riesco a concludere con chiarezza questo pensiero, o se ci sono errori in questo testo, è sicuramente colpa sua.

Foto: il suicidio dell’ombra, 2012

giovedì 3 maggio 2012

Papaveri rosso sangue






Mi metterò un appunto sul frigo del tipo “quando non hai voglia di partire, ricordati che è il momento giusto”. Sono bastati pochi chilometri per sentirsi abbandonare da una presa soffocante. E’ bastata una vacanza breve per prendere appunti su di me, tramite sogni agitati, del mio limite. La discesa nel pozzo di San Patrizio è stata una passeggiata: come camminare in una metafora del mio umore. Per fortuna che T. entusiasta delle strade antiche si è sobbarcata la guida di un migliaio di chilometri, lasciandomi perdere tra i faggi verdissimi dell’Amiata, le morbide colline che annunciano il mare, punteggiate di papaveri rosso sangue, che ora so non essere l’esagerazione dei poeti. Grazie anche al suo fidanzato che conosce fucine di pasta fresca che sono vere oasi di perdizione. Peccato la pioggia e le gocce che cadono sull’obiettivo della macchina fotografica, che fanno tuonare la mia rabbia placata sono dalla gioia di vedere gli amici estasiati tra le meraviglie di Niki de Saint Phalle. O perdersi nelle meraviglie di Spoerri, il cui incanto non è nella bellezza del singolo pezzo, ma dal volerti trattenere per sempre, per trasformarti (si spera) in un pezzo tra di loro. E c’era una piccola bambina che non voleva entrare nell’orco del parco di Bomarzo per paura che questo faccione di pietra la chiudesse nelle fauci. Cogliere la banalità di sentirsi dire che viviamo in un paese incredibile, dove ogni angolo nasconde un tesoro, dove ogni valle culla un miracolo. Non è necessario scovare un borgo aggrappato all’esistenza di un cocuzzolo di tufo, basta un capanno su una spiaggia, o un vicolo. Oppure i gradini di un antico convento trasformato in moderno albergo, consumati dai milioni di passi che li hanno accarezzati, come il vento con le rocce d tufo. Dovrei segnarmi i verbi all’infinito di questa piccola vacanza: andare, cercare, passeggiare, gustare, respirare, guardare, guardare, guardare.

foto: Viterbo, guardata con sospetto